S(u)oli emiliani

(Little advice: per avvicinarsi alle sensazioni descritte, mettete questa come sottofondo.)

L'Emilia ci ha frustato, ma è pur sempre la nostra grande mamma. Infonde nello spirito un senso di appartenenza a un unico destino sconnesso e nebuloso.

Nessuno sa cosa aspetta, oltre il Confine, al di là del fiume, noi emiliani. La vita scorre in un lieto benestare in una comune povertà di mezzi e una grande ricchezza d'animo.

L'essenza dell'Emilia, però, è altrove.

Alle otto di sera, in quelle serate estive in cui l'unico obiettivo è aspettare che il sole scenda a farsi un tuffo nel Secchia, allontanati dal centro, prendi la bicicletta.

Prendi le strade larghe una persona, salta le buche. Goditi il vento, quello inutile, che non toglie neanche le zanzare dal collo, che non sgocciola la canottiera.

Allontanati dalla musica delle sagre, avvicinati alla musica del sole, rosso come le gote di chi ha lavorato tutto il giorno in campagna, col cappello di paglia.

Guarda il tramonto. Piangi. Non puoi fare altro: capirai gli artisti, capirai i cantanti, capirai gli ambientalisti, capirai d'un lampo i lagrimosi poeti ottocenteschi.

Ti renderai conto che non hai visto nulla fino a quel momento, che New York sta bene dov'è, che le Maldive sono un parco tematico, che tutto ciò che di più bello c'è al mondo è davanti a te.

Farebbe vergognare l'amore più limpido, una realtà bella come l'Emilia che tramonta.

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